Corre l’anno 1 d.C. (dopo Covid), le vie della città sono solcate a intermittenza da personaggi mascherati. I guardinghi, gli stremì, i canaj.
Una donnetta corre su piccoli tacchi medi sul marciapiede stringendo una sciarpa sulla bocca, la mano libera aggrappata a quella di un bambino, anche lui mascherato, che incespica nella corsa.
Tic tac, tic tac, suona l’asfalto. Un omone alto, con un cane gigantesco e l’aria svagata, mascherina abbassata a coprire la barba di tre giorni sul mento volitivo e una sigaretta a penzoloni sul labbro, attraversa la piazzetta S. Luigi, tra il Vigentino e il Corvetto, zona sud della città.
Gli echi dei canti dai balconi sono ormai spenti.
Sussurrate dietro le tende, continuano le invettive. “Nda l’è ch’el va quel lì col can? El gha mia una casa? Al sa no che ghè la pandemia? Canaja!”
Sulla piazza ristrutturata veglia la chiesa. A scandire il tempo i rintocchi del campanile. Dong, dong, suona la campana.
Con il tempo e con la paglia, maturano le nespole e la canaglia.
Corre l’anno 2 d.C. la città è in rinascita. La brava gente è tornata in strada, e così le canaglie, mescolate e invisibili.I tempi sono maturi e sull’angolo a nord della piazza ha aperto un locale. Un trani dei tempi moderni, dove si mangia, si gioca e si beve.
Vino fluisce dalle botti e cocktail colano dai blender sotto mani sapienti. Bocconi succulenti, poco più che sciocchezze, saltano nelle bocche affamate superando l’argine di denti che ridono. Non passa la giornata senza una cantata, una barzelletta, una chiacchiera tra “brava gente”.
E le canaglie? Siedono ai tavoli, si mescolano alla folla. Quali maldestre azioni nascondono nel loro passato? Non è dato sapere, se non ai tavoli, dopo un certo numero di sorsi con la giusta compagnia.
D’altra parte si sa: “un segreto consiste nel ripeterlo solo a una persona alla volta”.